sabato 3 settembre 2022

LA MORA SELVATICA: il passaggio dell'estate all'autunno, proprietà e usi

 

   LA MORA SELVATICA: il passaggio dell'estate all'autunno.


La gustosa mora selvatica è il frutto del rovo (Rubus ulmifolius), un arbusto spinoso che appartiene alla famiglia delle Rosaceae. 

Il rovo è una pianta arbustiva, semicaducifoglia, che può raggiungere i 2-3 m di altezza e altrettanti in larghezza a causa dei nuovi getti che annualmente si sviluppano dalle radici,  le foglie sono composte da 3-5 foglioline di forma ovale dai margini dentellati con apice acuto, la superficie superiore è verde e glabra, mentre la pagina inferiore è bianca e tomentosa. I fiori ermafroditi sono composti da 5 petali di colore rosa o biancastro,  riuniti in racemi, fioriscono a giugno, i frutti sono le more composte da numerose piccole drupe tondeggianti, di colore nero-rossastro e  contenenti ciascuna un piccolo semino. È una specie molto comune, cresce dal mare alle zone montane in tutta Italia, predilige suoli ricchi di nutrimenti, leggermente acidi, si trova nei boschi umidi,  ai margini delle foreste, nelle radure, luogo le siepi e nei terreni incolti, è una pianta infestante che si diffonde rapidamente sul terreno, creando spesso grovigli quasi inestricabili che tendono a soffocare le altre essenze e la sua eccessiva presenza indica situazioni di degrado del bosco. 

Il nome "Rubus" deriva dal latino "ruber", cioè "rosso" e potrebbe indicare il colore dei frutti immaturi, mentre "ulmifolius" descrive la forma delle foglie che sono simili a quelle dell'olmo campestre (Ulmus minor).

Il rovo e i suoi frutti erano già conosciuti per le proprietà mediche a partire da Ippocrate (460 a.C.) e successivamente da Dioscoride e Galeno che consigliavano le more per la cura della gotta, tanto è vero che era chiamata "la bacca della gotta ", inoltre attribuivano persino la capacità di annientare il veleno dei serpenti e ne sottolineavano le virtù astringenti della foglie e delle radici.

Nei suoi scritti, Santa Ildegarda affermava che le more sono più calde che fredde e sono facilmente digeribili e adatte sia ai sani che ai malati e il succo di more ha un'azione benefica sul fegato. 

I gitani spagnoli usavano una miscela di more, vino e foglie di rovo per stimolare le bestie da soma, i germogli e i frutti erano usati per tingere tessuti,  pelli di animali e "a far neri i capelli ".

La mora è considerata una pianta femminile, legata al pianeta Venere, all'elemento acqua, è sacra alla dea Brigid e al Dio Lugh, per i Romani era sacra a Saturno. Si riteneva che un cespuglio di rovo che formava un arco naturale avesse un enorme potere curativo e chi lo attraversasse per tre volte, in direzione est-ovest, sarebbe guarito da tosse e reumatismi. Le foglie di rovo erano usati per rituali di ricchezza e prosperità,  per curare le scottature si emergevano 9 foglie in acqua di sorgente e si applicavano sulla parte interessata, ripetendo 3 volte per ogni foglia l' invocazione a Brigid:"Tre donne vennero dall'Est. Una con il fuoco e due con il ghiaccio. Via il fuoco, che rimanga il ghiaccio".  

I Celti definivano la mora di rovo con il termine "Muin", con questo nome si indicava anche l'insegnamento e l'istruzione, inoltre era la stessa parola con cui designano anche la vite in quando anche dalle more, come dall'una, ottenevano una bevanda inebriante usata in particolari riti. Il rovo è una pianta gradita alle Fate e esse sono molto golose delle more, soprattutto negli ultimi giorni di settembre.

Oltre ai frutti, che maturano tra luglio e settembre, del rovo si utilizzano i giovani getti che si raccolgono a primavera e le foglie, il cui tempo balsamico è primavera-estate.

Le more sono ricche di fibre, vitamina C, vitamina K, acido folico, magnesio, potassio, calcio e ferro e hanno proprietà aromatiche, vitaminizzanti,  antiscorbutiche, antinfiammatorie, depurative, antiossidanti e vulnerarie, per uso interno possono dare sollievo come astringenti e regolatori intestinali. 

Grazie ai tannini che contengono le foglie, in infuso sono indicate in caso di diarrea, infiammazioni intestinali e cistiti, mentre il decotto si può usare per sciacqui e gargarismi per afte, mal di gola, gengiviti e come lozione detergente per il viso, inoltre tritate hanno azione cicatrizzante per tagli e piccole ferite. 

In cucina i getti primaverili si consumano lessati e conditi con olio e aceto o in frittata, mentre i frutti, oltre che gustati freschi, possono essere trasformati in succhi, confetture, gelatine, sciroppi e gelati, oppure diventare gli ingredienti di torte e dolci. I valori nutrizionali per 100 gr di prodotto sono 8,1 gr di carboidrati, 8,1 gr di zuccheri, 1,3 gr di proteine, 3,2 gr di fibre e forniscono circa 44 kcal.

Secondo la tradizione dopo l’11 ottobre le more non sono più buone, perché una leggenda narra che quando Lucifero fu cacciato dal Paradiso cadde in un arbusto di more e infuriato scagliò una maledizione contro questa pianta e questo accadde proprio l’11 ottobre.  ( nota mia: prendetela come leggenda, non è detto)

di Mascia herbana





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